ICCOM Friends

Le storie dei nostri clienti e collaboratori: raccontiamo il loro percorso lavorativo, personale, le loro visioni.
Se hai una storia da raccontare… Scrivici!

Paolo Bernardi

ICCOM Friends – Paolo Bernardi, ICCOM

 

Un’incursione dentro la scenografia,
Per me, povero d’arte, un dialogo magico.
Artigianalità, storia degli ultimi decenni.
Una lezione, arte allo stato puro con parole concrete e vere.

Signore e signori: il maestro Paolo Bernardi.

 

D = Io non immagino il percorso accademico e di inserimento nel mondo lavorativo di uno scenografo nel mondo attuale. Ipotizziamo che si parli di un ragazzo della provincia di Asti che ha 15 anni e vuole fare lo scenografo: cosa deve studiare? Come si avvia la sua carriera?

P = Bisogna frequentare una scuola d’arte, chiaramente, per esempio il liceo artistico di Asti che è comodo per lui, oppure c’è il “Cottini” di Torino che ha delle dimensioni diverse.

Il ragazzo che vuole fare lo scenografo deve capire prima di tutto cos’è la scenografia perché in tanti la confondono con la coreografia o con la sceneggiatura … c’è una grande confusione.
La scenografia, a differenza della pittura, della scultura e delle altre specializzazioni dell’Accademia di Belle Arti è una materia molto complessa, perché, un po’ come per l’architettura, chi la studia, deve avere una capacità progettuale importante, con caratteristiche specifiche a seconda se si parla di scenografia per il teatro, la lirica, la prosa, il cinema o la televisione.
Sono spazi diversi, progettazioni diverse, mondi diversi.
Quindi il ragazzo deve avere una cultura generale molto ampia, è chiaro che appena uno studente inizia il Liceo Artistico deve imparare a disegnare, a progettare, a esercitarsi in architettura, perché la progettazione e lo sviluppo dei disegni costruttivi per lo scenografo è importantissimo: progettazione di strutture che diventeranno scenografie, inoltre l’aspetto creativo è fondamentale, perché la scenografia in fondo è un’architettura della fantasia, corrisponde all’idea della sceneggiatura e soprattutto ad un’idea drammaturgica.

Tornando indietro al discorso del ragazzo che studia, il giovane deve sviluppare tutte le materie tipiche di una scuola d’arte, deve studiare la storia dell’arte, le epoche, gli stili, gli usi e i costumi,
lo scenografo deve spaziare in un universo infinito del tempo passato e futuro.
A differenza dell’Architetto, il quale lavora sul contemporaneo, per una progettazione del presente uno scenografo che deve inventare una scenografia per una opera come l’Aida deve sapere tutto sull’Egitto e documentarsi su ogni dettaglio.
Ogni volta è un tuffo in quel mondo preciso, in quel mondo particolare, quindi si deve documentare su tutto, a partire dalle architetture, dai costumi, dalle suppellettili.
Deve essere preparato su tutto e poi deve inventare, creare e dare il proprio segno creativo, diciamo così, alla produzione. Quindi … la scelta per iniziare gli studi è il Liceo Artistico.

Dopo che ha fatto il Liceo Artistico deve entrare in un’Accademia di Belle Arti.
Chi è di Asti chiaramente può frequentare a Torino l’Accademia Albertina, perché è più vicina, oppure a Milano Brera, dove io tra l’altro ho insegnato … sia a Torino che a Brera.
Ho girato tutte le Accademie più importanti, Bologna, Roma per dieci anni di insegnamento e poi ho finito con Brera a Milano per quattordici.

Quando il ragazzo pensa di aver capito che cos’è la Scenografia deve mettersi a lavorare sodo.
Il pittore si mette nel suo studio e fa i suoi quadri, lo scultore fa le sue sculture; lo scenografo deve sviluppare un progetto, il progetto della sua idea scenografica e lavorare in sintonia con il regista.

 

 

D = Parlami della realizzazione di uno spettacolo, come definisci il regista?

P = Il regista è il capitano della nave che guida tutti quanti, dall’ultimo mozzo al primo ufficiale e conduce la barca verso una meta che è quella del lavoro che si sta facendo.
Quindi il regista è quello che dirige, che ha l’autorità su tutti tranne che sul produttore perché comunque si sa che questo è un mestiere che è sempre legato ad un budget, perché il budget è fondamentale, per cui il regista e lo scenografo devono sottostare a quelle che sono le esigenze del produttore in base alla disponibilità dei capitali.

È un lavoro che viene pianificato al millimetro, quindi prima di partire con una produzione bisogna aver preventivato tutto, sapere cosa bisogna fare, se si tratta di cinema, dove bisogna girare, in quali luoghi, se questi luoghi sono costruiti o se sono veri, se sono da trasformare … se è lirica, che cosa c’è da costruire per i vari atti e se è una co-produzione… oggi finalmente i teatri e gli enti lirici si sono piegati alla volontà di fare delle co-produzioni, pensare a una co-produzione era ritenuto svilente.
Cioè: se fosse fatta la Prima alla Scala, la Scala sarebbe stata portatrice del successo e poi dopo andava in un altro teatro ed era considerata una Seconda

Adesso hanno capito, siccome i soldi sono pochi e si mettono insieme gli enti lirici, decidono chi farà la prima “Prima” e poi chi farà la seconda “Prima”; in ogni caso producono insieme mettendo insieme i capitali, due o tre produzioni insieme; non solamente questo ,ma si vanno anche a comprare dei prodotti all’estero perché per esempio nei paesi dell’est le orchestre costano meno, i cantanti costano meno, tutto costa meno; per cui tante produzioni arrivano dall’est, anche per un motivo economico.

 

 

D = Gli strumenti digitali quanto hanno influito?

P = Io ho vissuto proprio il cambiamento da un certo modo, diciamo ancora artigianale, di lavorare ad un metodo invece ormai tecnologicamente avanzatissimo.

Nelle Accademie ci sono dei corsi di informatica e di lavoro sul computer pazzeschi… non si fa neanche più il bozzetto, si fa un rendering che sembra vero, già costruito.
Per una delle ultime opere liriche che ho fatto al comunale di Bologna ho diretto un mio allievo che era un bravissimo tecnico e gli ho detto per filo e per segno cosa doveva costruire al computer.

Abbiamo fatto questo rendering che sembrava vero, sembrava una ripresa; quando lo feci vedere al regista Franco Ripa di Meana, lui disse: “Beh allora che soddisfazione c’è? Ormai abbiamo visto tutto, non c’è più gusto”.

Nonostante nelle Accademie ti insegnino ad eseguire bozzetti dipinti, i progetti ormai sono tutti sviluppati al computer in 3D e quindi ci sono possibilità infinite di vedere il disegno, muoversi nello spazio di piante, sezioni, prospetti. Io invece appartengo ancora all’ultima generazione che ha disegnato tutto a mano: disegnavo su carta lucida, a matita, poi per un mio vezzo li lasciavo a matita e li stampavo, chilometri di disegni fatti in quel modo. Per quanto riguarda la scenografia in sé ormai è tutto digitale.
Per una Scenografia televisiva di intrattenimento ti faccio l’esempio degli esempi ….“X-Factor”, che è un trionfo di luci e di elementi digitalizzati al computer e trasmessi poi tramite dei videowall che riproducono le immagini.

Tutto ciò è un lavoro di grafica pazzesco, il grafico è molto valorizzato in questo senso; anche dal punto di vista delle luci, ci sono dei parchi-lampade che sono pazzeschi, ora con lo stesso riflettore puoi manovrare in automatico a distanza e puntare in varie direzioni quindi non devi più fare i puntamenti come una volta, quando ogni singolo proiettore faceva un solo puntamento.

Adesso uno stesso proiettore fa 10, 15, 50 puntamenti diversi con un’iride di colori impressionante quindi la tecnologia è ormai entrata a gamba tesa in questo tipo di lavoro.
Però … c’è sempre l’aspetto artigianale, che è quello del teatro, della lirica, della prosa e comunque anche del cinema.

Se togliamo il cinema degli effetti speciali, che è una cosa pazzesca, cinema che peraltro noi non siamo neanche in grado di fare, dal momento che il cinema in Italia è artigianato, mentre in America è industria, nel cinema si costruisce ancora la scenografia oppure la scenografia è fatta di location cioè di luoghi veri adattati alla sceneggiatura.

Tornando invece all’aspetto informatico io ho avuto molti allievi cinesi bravissimi; sono stato in Cina sette volte, due volte per fare delle conferenze e le altre con Brera per scegliere gli allievi, i cinesi sono impressionanti da quel punto di vista, per quanto riguarda i rendering, si mettono al computer e ti fanno delle prospettive che sembrano vere, sembrano già costruite, con tutte le luci, con tutti i punti luce, gli effetti di luce, con delle sottigliezze impressionanti.
Hanno anche una grande capacità, si vede che sono stati istruiti in Cina molto bene da quel punto di vista.

 

 

D = Nel momento in cui ti chiedono di fare il Palio di Asti, tu stai usando un centesimo della tua conoscenza e stai regalando una cosa alla città. È come chiedere ad un calciatore di fare due palleggi.

P = Non è così semplice. Perché in fondo, ricevendo la proposta di fare i Drappi per il Palio ti senti comunque una responsabilità addosso che è quella di dipingere una cosa che ha un significato profondo. Ho visto ragazzi che lo baciavano, che lo toccavano con mano, c’è una ritualità pazzesca.

Per cui diventa un totem, diventa un elemento importante e poi naturalmente sento sempre di dovermi confrontare con tutti quelli che ci sono stati prima.

Io ne ho fatti tre, in quell’anno il sindaco aveva deciso di fare due corse (i Borghi e i Paesi) quindi due vincitori. C’era l’imbarazzo di dover fare due pali che dovevano essere dati ai vincitori e che nessuno potesse dire “Quello è più bello del mio!”. Ebbi l’idea di farli identici, ma specchiati in modo che non si potesse stabilire quale fosse lo specchio!
Per cui si tratta di tirare fuori attraverso questo Palio il tuo pensiero, la tua idea, di ciò che può essere questa immagine. Insomma, non è che l’ho fatto con la mano sinistra.
Ho capito cosa intendi chiedermi perché rispetto al progetto della “Regina di Saba” per il quale ho lavorato un anno e ho eseguito chilometri di disegni e ho dovuto pensare a mille cose perché ci sono tre balletti, 60 coristi, 50 ballerini, cantanti ecc.… è chiaro che è uno scherzo in confronto ai tre drappi.

Però nel suo piccolo devi comunque creare un qualcosa che ti dia soddisfazioni e che pensi che possa piacere, ecco tutto.

 

 

D = Tu sei astigiano?

P = Io sono nato ad Asti, ma sono andato via all’età di 16 anni.
Ho cominciato ad andare al liceo artistico di Torino a 15 anni, quindi viaggiavo in treno. Alle 6:18 avevo il treno, abitavo in piazza Lugano, da piazza Lugano andavo fino alla stazione e mi ricordo ancora quando passavo vicino a San Secondo che c’era il mercato dei tartufi, quando era stagione si sentiva il profumo di tartufo già da piazza Catena.
Dopo ci siamo trasferiti a Torino e quindi sono diventato torinese, anche perché, parliamoci chiaro, il mio lavoro non lo puoi fare ad Asti, non esiste.

Ho lavorato subito per il teatro Regio quindi mi sono subito inserito in un mondo che per me era fantascienza perché ero giovanissimo, avevo 21 anni.

Quando ho fatto “Bastiana, Bastiana” al Teatro Regio di Torino non sapevo ancora niente del mestiere reale, meno male che il mio maestro di scenografia che veniva da Milano mi impostò per quanto riguardava l’aspetto tecnico specifico.
Ho fatto un modellino e un bozzetto meravigliosi che poi ho messo nel catalogo che ho fatto per la mostra della fondazione Guglielminetti alla quale ho donato delle mie opere, ma ero proprio fuori dal mondo.

Poi sono riuscito ad entrare alla televisione negli anni d’oro, ho cominciato facendo un po’ di gavetta e poi ho affrontato le mie prime produzioni televisive.
É stato un evento miracoloso perché il centro di produzione di Torino era uno dei centri più importanti, produceva delle cose incredibili: commedie, sceneggiati, varietà.
Io per fortuna rientro in quella generazione che ha lavorato in un periodo in cui la televisione era fatta in un certo modo, adesso non è più così.

Noi lavoravamo ancora con le telecamere in studio, esterni e interni, commedie e sceneggiate, con dei lavori di scenografia pazzeschi.
C’era un laboratorio di scenografia con degli operai che si chiamano macchinisti in teatro, i falegnami sono i macchinisti, i pittori, i decoratori, gli attrezzisti che erano un patrimonio prezioso;

Torino era un grande centro di produzione sempre molto ambito, Torino si è messa sempre in luce per la sua grande capacità tecnologica, la sua grande capacità artistica e di realizzazione.
Io ho lavorato con Bolchi, con Fenoglio, con Camilleri, grandi registi.
Adesso questo mondo è finito, io sono appartenuto a questo mondo che non esiste più, sono andato a visitare gli studi di Torino e mi piangeva il cuore perché pensavo ai chilometri di cose che abbiamo fatto.

Poi ho rincontrato il regista con cui avevo fatto il lavoro “Bastiana, Bastiana” di Mozart e lui mi ha chiesto di fare il “Fidelio” al teatro Regio, che è stato un trionfo pazzesco; poi fare il “Fidelio” che è l’unica opera di Beethoven per me era una gioia infinita e una grande emozione e anche una grande paura, fortunatamente sono riuscito a trovare le idee giuste e sono andato avanti.
Continuavo a lavorare anche in Rai, facevo le commedie con Fenoglio per la rassegna Palcoscenico, poi mi sono trasferito nel ‘92 a Roma con Athina Cenci e lì mi sono immerso nel mondo teatrale romano dove ho fatto diverse produzioni di teatro importanti, sia con Athina che con Flavio Bucci. Abbiamo fatto delle produzioni molto belle come il Festival di Taormina, insomma una bella storia di teatro. Poi abbiamo avuto delle vicissitudini pazzesche, anche Athina, e io mi sono trasferito in Piemonte in campagna, dove dipingo e faccio le cose che mi piacciono in libertà.

Il Comune di Castello di Annone mi ha concesso una chiesa sconsacrata come atelier dove non ho né acqua né riscaldamento, però lo spazio è stupendo quindi ci posso lavorare bene, concentrarmi bene sulle cose che voglio fare. Quindi dipingo, quando mi sento.

 

 

D = Hai detto che lo scenografo sostanzialmente studia la storia, la storia dell’arte, la storia dell’epoca che va a rappresentare. La domanda è: racconti solo o ci metti anche delle tue idee sulla situazione attuale?

P = Io questo problema non me lo pongo, l’unico problema che mi pongo è quello di pensare al mondo dell’arte.
Io nei miei lavori ho sempre fatto riferimento all’arte, alla pittura, la scultura, l’architettura, per cui ci sono sempre delle citazioni.

Non posso mettermi a fare una critica politica, se il mio lavoro ha dei temi precisi, delle epoche ben precise da raccontare e descrivere in fantasia perché poi ci sono le scenografie che sono

iperrealiste, che costruiscono una storia, un’epoca, un anno ben preciso.
Io posso però, in teatro o in lirica o in prosa, inventarmi uno spazio che è drammaturgicamente coerente con quella che è la storia perché se tu devi fare un’opera di Shakespeare, un Amleto … lo hanno fatto in mille modi diversi, ognuno ha la sua idea, ha il suo concetto di fare l’Amleto.

Più che altro si tratta di capire come interpretare una determinata epoca, un determinato spazio, spazio drammaturgico … vuol dire che è uno spazio che segue quello che è l’intento del regista e la drammaturgia del regista.
È un lavoro che si fa insieme al regista per cui se il regista conosce il mio modo di lavorare accetta tutte quelle che sono le mie proposte, io conosco il suo modo di lavorare e accetto tutte quelle che sono le sue proposte.
Per esempio nella lirica o nella prosa io non capisco certi spostamenti d’epoca: se un’opera lirica è ambientata in un certo periodo storico, in un certo luogo, stravolgerlo, come fanno tendenzialmente adesso in molti, è una cosa molto difficile perché la musica è quella che ti detta il percorso, quella che comanda.
Nella lirica la musica è assolutamente la “Bibbia” del contesto.
Farne una rilettura, reinventarti una simbologia, è difficile, io dico sempre che ci sono alcune rappresentazioni, chiamiamole moderne o contemporanee, che mi affascinano e mi interessano; ma ce ne sono altre che sono brutte, sono inutili, sono kitsch, non hanno nessun significato.

Il discorso della contemporaneità … nel mio lavoro non vedi riflesso il ‘68 oppure tutte quelle che sono le lotte, ma la mia lotta è quella in assoluto per il bene, per la giustizia.

Quando ho fatto il “Fidelio” che è il trionfo della libertà in questo carcere profondo, il concetto del carcere opprimente di quegli anni e c’è poi il trionfo finale del cattivo che viene cacciato, arriva il buono e libera tutti e tutti escono. Sono dei concetti universali quelli che si riportano nel teatro.

Poi io ho fatto due Pirandello molto belli, anche in Pirandello ci sono delle tematiche stupende. Ho fatto “Il fu Mattia Pascal” e “l’Uno, nessuno, centomila” con Flavio Bucci che è un attore stupendo.

 

 

D = Il tuo atelier è visitabile, aperto?

P = Certo! Se mi chiamano e vogliono venire a vedere … sono aperto anche per far vedere la mia produzione e vendere i miei lavori … è il mio lavoro.
Ho fatto anche delle mostre, per la primavera prossima organizzerò un’altra mostra.

Quella chiesetta il Comune l’aveva restaurata, dentro è tutto mattoni, alle pareti non c’è più niente però c’è un soffitto a capriate e un pavimento dove io ho messo un telo per proteggerlo dalle schifezze che faccio di colori e non so che cosa.
È visitabilissimo, è un posto affascinantissimo. Ho fatto diverse cose, mi hanno anche fatto un’intervista, Rai 3, quando ho fatto il palio.

 

 

D = L’interazione con la città di Asti esiste?

P = Io sono soddisfatto; ho fatto nel 2019 una bellissima mostra dove c’era una volta la Biblioteca Comunale. Lì ho fatto una mostra retrospettiva con quadri che stavo facendo. C’era tutto un salone dedicato alla pittura e tutto un altro salone e altri passaggi dedicati alla mia carriera scenografica. Quello è già stato un grandissimo riconoscimento, ho avuto un grandissimo successo, una eco importante, un catalogo bellissimo.

In concomitanza c’è stato questo Palio che mi ha fatto conoscere agli astigiani … anche lì ho avuto un bel successo. Poi ho fatto questa ultima mostra alla Fondazione Guglielminetti dove io ho fatto una donazione; ho donato quadri, ma soprattutto modellini che ho restaurato, ho scelto due lavori di lirica, due lavori di prosa e due o tre lavori di televisione abbastanza significativi. Lavori con la regia di Camilleri, quando era ancora in Rai con la Brignoni, tutto in bianco e nero.

 

 

D = ICCOM è la mia azienda, che tu conosci per il servizio. Ipotesi: ICCOM fa un accordo con te e tu fai dei lavori per noi … il sito, la promozione, le locandine che vedi alle mie spalle …

Tu su cosa agiresti oggi? Se io ti chiamassi e ti dicessi di fare ciò che vuoi.

P = Ma scusami, data la mia professionalità io devo prima di tutto documentarmi esattamente su tutto e poi vedere quella che può essere la mia idea rispetto a quello che voi avete sviluppato, vedere se viene fuori un’idea diversa o similare oppure dire quella roba lì non va assolutamente bene, però bisogna studiare una linea più coerente, più compatta. Di conseguenza non posso dirti così in maniera superficiale, io prima devo studiarmi il copione, leggermi la storia, la sceneggiatura, guardare tutto e poi dopo capire quella che è la linea da seguire.

Gli studi pubblicitari sono una cosa molto complessa; io avendo lavorato per le banche, so che comunque ero un individuo a parte rispetto a quello che è tutto il mondo del blocco pubblicitario, degli studi pubblicitari, che hanno tutta una gerarchia, un metodo di lavoro particolare, per cui guai a interferire.
Sarebbe interessante fare un’analisi di tutto quello che è stato fatto ad oggi e poi vedere quello che potrebbe essere invece cambiato o sviluppato in maniera diversa.

Io grazie al cielo ho trovato voi, sono cliente vostro proprio da un sacco di tempo, ma non potevo farne a meno.
Il discorso della pubblicità è interessante…  non so se tu hai mai sentito parlare della Elkron Antifurti a Torino, io per loro ho progettato degli stand che hanno girato dalla Spagna all’Inghilterra, al Belgio, alla Francia, Parigi… con dei moduli che poi venivano rimossi.
Un successo tale … mi ricordo a Madrid, quando abbiamo montato il mio stand per la prima volta, avevo degli elementi che erano iper-moderni, per cui quelli degli altri stand quando erano in pausa venivano a guardare e curiosare.

Per la Cassa di Risparmio di Torino quando ero ragazzo facevo le vetrine di piazza CLN e di alcune sedi importanti in tutta la provincia di Torino.
Realizzavo dei pezzi unici che andavano in vetrina. Adesso è tutto un mondo che non esiste più, adesso hanno gli schermi, le proiezioni, è tutta una questione di grafica.
Io sono disponibilissimo, io mi diverto, è una cosa che fa parte del mio DNA e poi mi incaponisco sulle cose. Però ti ripeto: devo sapere tutto, come nel mio mondo, devo sapere tutto per avere un quadro generale per poter spaziare nelle cose e nelle problematiche per avere idee nuove in altri mondi.

ICCOM Friends – Paolo Bernardi, ICCOM
Hai domande?